La regione del Mustang, nel nord del Nepal, ha aperto le sue porte al turismo nel 1992. Il suo relativo isolamento ha fatto in modo che i traumi subiti dalle regioni confinanti le siano stati risparmiati, e la predominanza di monasteri tibetani appartenenti alla scuola dei Sakya sono la testimonianza di legami con il Tibet che risalgono al XIII secolo.
Organizzeremo un viaggio verso questa destinazione in collaborazione con Amitaba, fedele compagna di avventura, per tornare a visitare un luogo al quale sono profondamente legata per molte ragioni.
Oltre alla bellezza del paesaggio e alla tranquillità e serenità degli abitanti di queste zone, mi lega al Nepal l’impegno nella Tashi Orphan School, un asilo di bambini orfani fondato nel 2005 e dove ho avuto modo di fare l’esperienza dell’insegnamento dello Yoga in un contesto di grande ispirazione, che mi ha condotto a tante riflessioni sull’educazione dei più piccoli.
Tornando a noi… Il nostro viaggio ruota intorno al Festival del Tiji di Lo Mathang, che quest’anno si svolge a fine maggio.
Si tratta di una festa suggestiva della tradizione buddhista nepalese, molto antica e di grande impatto, che dura tre giorni e la cui formalizzazione risale al XVII secolo, quando ai monaci di Lo Mathang vennero trasmessi i passi di danza di un rituale ispirato a Vajrakila.
Chi è Vajrakila?
Vajrakila è una divinità del buddhismo Vajrayama (diffuso in India e Nepal) ed è uno dei nomi di Dorje Jono, che secondo un’antica leggenda lottò, con il potere della sua danza, contro il demone Tharpa Nagpo Rutha. Questi voleva provocare la rovina del regno del Mustang imponendo carestie e siccità. Furono cinquantadue le danze che condussero Dorje Jono alla vittoria, eseguite in dieci corpi diversi, fino a che l’equilibrio e l’armonia non furono ripristinati. Per questo il Festival si svolge in primavera, la stagione della rinascita, e per questo si chiama Tiji: il termine viene da “ten che”, che significa “la speranza del Buddha Dharma che prevale in tutti i mondi”.
La danza che oggi si rappresenta ha una fase preliminare in cui i passi di sono calmi, e il ritmo cresce man mano che si procede verso il cuore della rappresentazione. Ogni posa rappresenta simbolicamente diversi momenti della meditazione e ogni passo di danza ha un significato profondo. Si ritiene che osservare questi passaggi con fede e rispetto rimuova gli ostacoli presenti nella propria vita. I monaci indossano abiti tradizionali e coloratissimi, e maschere ispirate alla leggenda di Dorie Jono.
Il primo dei tre giorni del Festival corni, tamburi e cimbali ne annunciano l’inizio, e allo stesso tempo viene srotolato un enorme Tangka che rappresenta il Guru Rimpoche nella piazza della città. I monaci prendono posto sotto il tangka e iniziano i canti propiziatori.
Durante i tre giorni seguenti le danze sacre, che seguono un rituale preciso e codificato vengono alternate a rappresentazioni più leggere e ludiche, per intrattenere il pubblico durante le tante ore della manifestazione.
A conclusione del terzo giorno, dopo l’uccisione del demone, Dorje Chono e i monaci tornano nella piazza di Lo Mathang e ricevono le Khata benedette dai pellegrini presenti. Il bene ha vinto sul male e la cerimonia può concludersi.
È un’esperienza suggestiva e incredibile. Vieni con noi?